venerdì 8 luglio 2011



Una voce, sola, catturata da un microfono e lanciata nella notte, vaga di ripetitore in ripetitore, alla ricerca di orecchie che vogliano sentirla; una voce come il fuoco impetuoso e affannato che rimbalzò da Troia fino ad Argo, su valli, colli e montagne, per annunciare, ad occhi che volessero vedere, il ritorno vittorioso della flotta Greca.
Una voce nel cuore della notte, desolata, impotente, che tiene compagnia a chi non riesce a dormire. Un suono modulato e amplificato che dà corpo a una voce. Una voce che si fa suono e si mescola ad altri suoni, che “voce” non sono, per evocare altre voci e altri corpi. Una voce lontana, che sa farsi vicina e familiare. Una voce che dà voce alle nostre passioni. Le nostre distrazioni. I nostri inganni. Le nostre guerre. I nostri morti. Le nostre vendette. Le nostre sconfitte.
Una voce che si fa carico della memoria; preoccupata che il ricordo si sbiadisca.  Perché la memoria è una gatta che non si affeziona a nessuno e all’improvviso può scomparire e lasciarci orfani. 

Igor Esposito racconta la sua storia attraverso sei voci – Ifigenia, Egisto, Clitennestra, Agamennone, Cassandra, Oreste - che si rincorrono in un "valzer di fantasmi". Fantasmi che tornano in vita, che tornano in voce per spiegarci "l’arcano passato da cui veniamo" e il presente in cui navighiamo. L'autore racconta con prepotenza, con un linguaggio forte e deciso, senza mezze misure; quasi volesse prendere le distanze dalla cronaca contemporanea che ci insinua notte e giorno, offrendoci ogni pruriginoso e inutile dettaglio di tragedie quotidiane che si consumano lontane. Igor Esposito vuole farci dimenticare il linguaggio edulcorato, diluito e politicamente corretto di quelle cronache e torna ad un parlare franco senza censure nè compremessi dettati dal calcolo o l’interesse. E così facendo ci fa sentire di nuovo il pericolo della realtà che ogni giorno attraversiamo, ce la fa assaporare fino in fondo in un processo di smascheramento continuo e inesorabile. Ci mette a disagio, abituati come siamo alla distanza tra noi e le cose, tra noi e le persone.
Peppino Mazzotta